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giovedì 26 aprile 2012

- Il Milan di Berlusconi si chiama Guardiola

da Corriere.it

 Allegri: "Me la gioco fino in fondo" 


 MILANO - Non avesse sprecato 7 punti in 4 partite, se cioè fosse rimasto in testa alla classifica, potremmo parlare di lui come di un uomo solo al comando. Invece, oggi come oggi, Massimiliano Allegri è semplicemente un uomo solo. In compagnia del suo contratto, quello che dovrebbe legarlo al Milan fino al 30 giugno del 2014 ma che, in realtà, si sta rivelando uno scudo protettivo di cartapesta. Anche se i rapporti con i suoi datori di lavoro sembrerebbero eccellenti visto che «con Galliani mi sento quotidianamente e che il presidente lo sento settimanalmente», le indiscrezioni degli ultimi giorni stanno chiarendo la reale natura di questi contatti: telefonate istituzionali, di fatto dovute perché, nel pieno della volata-scudetto con la Juve, che altro dovrebbe dire un presidente al suo allenatore nonostante le perplessità sul suo lavoro? «Forza, siamo con lei». Elementare Watson! La realtà dunque è diversa dalle apparenze. Silvio Berlusconi coltiva il Sogno, quello con la «esse» maiuscola, e si sta attivando per trasformarlo in realtà: per lui Pep Guardiola sulla panchina del Milan sarebbe una goduria. D' altro canto Barbara, la sola dei suoi cinque figli a dimostrare un reale interesse per le vicende calcistiche, sta lentamente cercando spazio. A lei potrebbe interessare il ritorno di Fabio Capello, ma come manager, dietro a una scrivania, forse per circoscrivere l' autonomia a tutto tondo di Adriano Galliani, che peraltro ci sembra folle discutere. Pare che nella sua idea ancora un po' sfuocata del nuovo Milan Paradiso la primogenita di Silvio Berlusconi e Veronica Lario abbia in testa un allenatore da scegliere tra Guardiola (per forza, è il chiodo fisso di papà) e, in subordine, tra Marco Van Basten e Billy Costacurta. Idee tante ma anche un po' confuse. L' unica cosa certa è che nessuno della dinasty Berlusconi crede più in un futuro rossonero di Allegri. Che, con tutta probabilità, ha fiutato l' aria e che dunque è consapevole della propria solitudine («Tocca alla società valutare come ripartire l' anno prossimo») anche se a osservarlo ieri, nella conferenza stampa di introduzione all' odierna sfida con il Genoa, non ha tradito grosse emozioni. Il momento è complicato, lo scudetto è ormai un' utopia e la gente è disorientata, ma lui, per orgoglio e per dignità, si rifiuta di mollare: «Io lo scudetto me lo gioco fino in fondo. Non possiamo pensare di abdicare a 5 giornate dalla fine, dobbiamo stringere la cinghia, abbiamo il dovere di insistere. La Juve è stata molto brava a non lasciare niente per strada e a superarci e quindi in questo momento merita di stare in testa». Certamente, dopo i fatti di Marassi («Una brutta immagine per l' Italia nel mondo») oggi a San Siro i genoani venderanno cara la pelle: «Per vincere serviranno più attenzione e più cattiveria: nelle ultime partite invece ci siamo fatti gol per conto nostro. Pensiamo solo al Genoa. È inutile pensare al resto, al gol di Muntari e al fatto che siamo stati sfortunati nelle decisioni che sono state prese da arbitri e guardalinee nelle partite più equilibrate, quelle punto a punto. Non cerco scuse ma questi sono dati di fatto che non si possono archiviare». In questa gara che in altri momenti il Milan avrebbe potuto pensare di vincere in carrozza, Allegri si gioca anche la faccia. Per questo (forse) si è mosso con insolita durezza lasciando addirittura a casa Robinho, uno dei suoi pretoriani che in questo finale allo sbando ha tradito, e il veterano Clarence Seedorf, costui per motivi disciplinari dopo la contestazione di domenica nello spogliatoio subito dopo l' 1-1 con il Bologna. Ieri l' olandese s' è scusato («Chiedo comprensione per lo sfogo anche se certe cose nascono e muoiono in un attimo») ma l' allenatore non ha fatto una piega. Solo, forse. Di sicuro inflessibile.

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